LA FOTO CHE NON C'E'

LA FOTO CHE NON C'E'
Tutti abbiamo dentro una foto che non c'è. Una foto che avremmo voluto scattare. Portare a casa. Mostrare orgogliosi agli amici. Ma che alla fine non abbiamo fatto. Perché non siamo stati abbastanza veloci per cogliere l'attimo. O perché non ne eravamo in grado. O semplicemente perché quella foto non andava fatta. Durante una chiacchierata di fotografia mi è tornata alla mente la mia foto che non c'è.
Non posso mostrarla. Non c'è. Vive solo nella mia mente. E in un altro posto. E' sepolta in fondo alla pila di immagini che vorrei realizzare. Ogni tanto, come oggi, viene fuori. Si fa rivedere. Come quando sfogli un album e bang! Vedi un'immagine che hai scattato tanto tempo prima e di cui ti eri dimenticato. Ma è un'immagine forte. E non capisci come è possibile che tu te ne sia dimenticato. Fa parte del tuo bagaglio culturale. Ecco, la mia immagine che non c'è, è proprio così. E lì. Nell'album immaginario della mia mente e ogni tanto salta fuori.
La mia immagine che non c'è è nata tanti anni fa, durante un viaggio in Francia. Un viaggio particolare. In un posto particolare. Lourdes. Un giorno di tanti anni fa decido di andare a Lourdes. Non in pellegrinaggio. Le questioni di fede le lascio ad altri. Più competenti e più credenti di me. Se esiste un "altra parte" e qualcuno ci aspetta, mi piacerebbe che ad aspettare me ci fossero quelle persone che hanno in un modo o nell'altro incrociato il mio sentiero. Quelle persone che hanno camminato con me per un pezzo di strada e che ora loro malgrado hanno preso un'altra via. Sai le eterne chiacchierate davanti ad una birra o un whiskey, con un sigaro che non arriva mai alla fine...
Dicevamo...decido di andare a Lourdes. Volevo vedere da vicino le persone che credono veramente a ciò che quel posto rappresenta. Volevo camminare con loro. Respirare la loro aria, con quel retrogusto di incenso. Volevo dividere con loro le fatiche del viaggio, le lunghe ore in preghiera. Ero curioso. Non preda di una crisi mistica. Nel preparare lo zaino, oltre ai pochi abiti, decido di portare con me una vecchia signora. Una vecchia macchina fotografica comprata usata per poche lire, in un negozietto che credo non esista nemmeno più. All'epoca esisteva ancora la Lira. Era una vecchia macchina a pellicola. Niente elettronica. Niente automatismi. Per fare una foto bisognava mettere a fuoco e impostare tutto a mano. La velocità nel riconoscere una scena e nell'impostare la macchina correttamente era fondamentale per portare a casa la foto. Una bella palestra. Non solo fotografica. Insieme alla macchina tanta pellicola. Di quella grande. Sei centimetri per sei. Un lenzuolo. Riempirla, raccontando qualcosa, era difficile. Mi ero scelto una bella sfida.
Zaino in spalla e borsa fotografica a tracolla, salgo su un autobus turistico, e in un tempo che mi è sembrato infinito mi vedo scarica nella cattolicissima cittadina francese. Una gocciolina insignificante nella marea di pellegrini sempre in movimento. Approfitto del viaggio per pensare alle foto che voglio fare. Non volevo un reportage sul pellegrinaggio. Mi interessava poco raccontare la vita del pellegrino che va lì, prega, beve l'acqua miracolosa, assiste ad un paio di messe e poi torna a casa pensando di essersi guadagnato il paradiso. Volevo altro. Volevo i volti delle persone. Volevo i loro occhi. I loro gesti. Volevo leggere qualcosa su quei visi. Fatica. Devozione. Disperazione. Fede. Speranza.
Ne ho letti di sentimenti sulle facce di quelli che ho incrociato. Gente spinta da una fede incrollabile. Malati aggrappati all'ultima speranza di guarigione. Volontari. Pronti ad aiutare. Chiunque. Indistintamente. Mai stanchi. Incrollabili. Come la fede che letteralmente respiri e senti sulla pelle.
Ho passato una settimana a vagare per chiese, vie, negozi di souvenir, bar, vie crucis. Ogni sera tornavo nella mia piccola stanza in albergo con la testa piena delle storie raccolte durante la giornata. Ogni foto fatta era impressa indelebile nella mia mente, prima ancora che sulla pellicola. Ogni foto era un viso, un gesto, uno stato d'animo, rubato all'intimo rapporto di un fedele al cospetto di un Dio. Passavo il tempo stazionando in una chiesa, davanti alla statua di un santo, di una madonna. Aspettando. Come fa il cacciatore con la su preda. Aspettavo il momento giusto per il click. La macchina sempre pronta. Incurante del tempo che passava, del sole, della pioggia, della fame o della stanchezza. Più raccoglievo immagini e più ne volevo.
Non capivo. Ancora non avevo appreso la lezione forse più importante della mia fotografia. La lezione la imparai un pomeriggio dell'ultimo giorno. Volevo la Foto. La Storia. Come un cacciatore scelsi con cura il posto dove aspettare. La Grotta. Restai lì parecchie ore. Passarono pellegrini, sacerdoti, preghiere, pioggia e sole. Aspettavo il momento. L'occhio sempre concentrato in cerca di un dettaglio, di un gesto che avrebbero dato il via a quel momento decisivo che fa la Foto. Alla fine il momento è arrivato. Aveva le sembianze di un anziano signore. Completo scuro. Passo incerto. Lo notai subito. Aveva qualcosa di diverso dagli altri pellegrini. Si avvicinava quasi timidamente. Doveva avere qualcosa di grosso da chiedere al suo Dio. Quasi non si osava. Senza pensare faccio scivolare veloce la mano nella borsa e afferro la macchina. Il tempo di caricare l'otturatore e impostare tempo e diaframma e davanti agli occhi ho una scena perfetta. Il pellegrino è in ginocchio davanti a me. Lo vedo di schiena. La testa alta verso la Madonna. Le mani giunte in preghiera. Posso immaginarmi il suo volto carico di fede. Chissà perché penso che la sua preghiera sia più forte di tutte le altre sentite in quella settimana...chissà perché quasi la sento anche io quella preghiera, anche se è appena sussurrata e rivolta ad un altro...sullo sfondo si staglia imponente e benevola la statua della madonna illuminata da un tiepido raggio di sole spuntato dalle nuvole. So di avere pochi secondi poi tutto svanirà. Premo il pulsante di scatto ma non succede nulla. Premo una seconda volta. Nulla. Guardo la macchina. Guardo la scena. Il tempo di fissarla indelebile nella mente e svanisce. Per sempre. L'uomo si alza. Il suo viso ora è sereno. Ha trovato il coraggio di chiedere una grazia. I nostri occhi per un momento si incrociano. Un accenno di sorriso, quasi un ringraziamento...per cosa? Capisco. Guardo la macchina. La pellicola era finita. Concentrato com'ero alla ricerca della Foto non avevo cambiato il rullino.
Resto un momento immobile assorto nei miei pensieri. Accenno una risata fra me e me. Metto via la macchina fotografica e mi incammino verso l'albergo. Stranamente sono rilassato. Più dei giorni precedenti. So di aver imparato una grande lezione per la mia fotografia. Ci sono immagini che è meglio imprimere nella mente e non sulla pellicola. Ci sono storie che servono solo a farti crescere. La mia Lourdes è una di quelle. E poi, il muto ringraziamento di un anziano sconosciuto, vale più di mille fotografie.
Durante l'infinito viaggio di ritorno passai il tempo ordinando i ricordi di quella settimana. Nel mio album della memoria appiccicai tutte le foto fatte. Scrissi tutte le storie di quella settimana. Non sono diventato più credente di prima. Solo più "grande" pronto per nuove sfide.
Arrivato a casa ho raccolto tutte le pellicole impressionate e le ho chiuse in una scatola. Sono ancora lì. Non le ho mai sviluppate. Non era necessario. Quelle foto sono con me sempre. Sopratutto l'ultima. La mia foto che non c'è. Che non doveva esserci. Perché credenti o meno, quello che si racconta al proprio Dio, o chi per lui, deve rimanere lì. Nessuno ha il diritto di interferire. Una lezione che anni dopo ripassai in una chiesa della vecchia Molfetta e di cui vi ho già raccontato.
Alla prossiama...      


Commenti

  1. Non so dire se è una questione di fede, karma o altro. Penso però che fosse giusto fotografare quell'istante così non con la pellicola ma con la mente.

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