MUSICA E FOTOGRAFIA

Alcune sere fa surfando fra i canali televisivi mi sono imbattuto in un documentario. Su un fotografo, stare pensando. No. Il protagonista era un cantante statunitense. Un certo Sixto Rodriguez. E scommetto che ai più il suo nome non dirà nulla. La domanda che vi passa per la testa è sicuramente cosa accomuni un semisconosciuto cantautore americano alla fotografia. Semplice: una storia. Perché se è vero che la Fotografia è fatta di storie, questa è una delle tante che ha da raccontarci.

Sixto Rodriguez è un cantautore. Un paio di album all’attivo. In patria pochi consensi. Nemmeno l’ombra della classifica per i suoi pezzi. Così per sbarcare il lunario appende la chitarra al chiodo troppo presto e va fare l’operaio metalmeccanico nella grande industria a stelle e strisce. Dimenticato da tutti.

O quasi. Perché succede qualcosa che ha dell’incredibile. Un suo album parte al seguito di una sua fan per il Sud Africa. Sono gli anni degli orrori dell’Apartheid. Il paese è chiuso su se stesso. Nessuno sa di preciso cosa succeda. Gli scontri. I massacri. I martiri da entrambe le parti. Sangue. Nel paese regna la censura più totale. Anche la musica ne è vittima. Poi qualcosa cambia. Le canzoni di un semisconosciuto cantautore americano che parlano di libertà, di uguaglianza, di diritti civili, cominciano a girare fra i giovani. Prima clandestinamente su cassette pirata registrate proprio da quell'album che è arrivato come un fulmine ad incendiare gli animi. Poi legalmente, grazie ad un coraggioso gruppo di discografici che decise di produrre l’album. E così per uno strano scherzo del destino un semisconosciuto cantautore scrive inconsapevole la colonna sonora della lotta di un popolo per la libertà.

Si. Direte voi. Bella storia. Ma la Fotografia? Lei arriva grazie a quattro fotografi che in quegli anni rischiando tutto, carriera, reputazione, spesso la vita, decidono di raccontare l’Apartheid da un punto di vista diverso. Si mettono fra due fuochi. Da una parte i manifestanti. Dall’altra l’esercito e la polizia che sparano. Che caricano a testa bassa tutto e tutti. In mezzo loro a raccontare il sangue. La lotta. Le sconfitte e le vittorie. I morti. Da entrambe le parti. E la musica di quello sconosciuto yankee nelle orecchie.

Sono il Bang Bang Club. Dovunque ci fosse una manifestazione, una marcia per i diritti civili, loro erano lì. A fare il loro dovere. A raccontare. A testimoniare l’orrore di quegli anni. Grazie a loro oggi sappiamo cosa fu davvero l’Apartheid e cosa successe per le strade delle città del Sud Africa in quegli anni terribili. Le loro immagini fanno il giro del mondo. Anche grazie al loro sforzo l’opinione pubblica di mezzo mondo arriverà a condannare il regime bianco che alla fine sarà costretto a capitolare e a concedere finalmente la libertà ad un popolo oppresso da troppo tempo.

Questo fa la Fotografia. Racconta. Senza filtri. Senza mezzi termini. Racconta ciò che vediamo e ciò che sentiamo. Ci fa entrare negli avvenimenti. Ci permette di viverli. Cercatele le loro foto. Le immagini di Kevin Carter, Greg Marinovich, Ken Oosterbroek e João Silva. Cercatele sul web. In un libro. Sono un pugno allo stomaco. Pensi che quella è finzione. Invece no. E’ la realtà. E’ successo davvero.

La Fotografia non è fatta di tramonti stucchevoli e innocenti gattini. Certo tutti partiamo da lì. La Fotografia è racconto. Alla fine i più sensibili di noi arrivano anche a raccontare storie. Kevin, Greg, Ken e João avranno sicuramente cominciato da lì anche loro. Da tramonti e gattini. Poi però qualcosa è scattato. E questo qualcosa gli ha dato la carica per raccontare l’incubo che stava vivendo il loro paese.
Poi quel qualcosa d’improvviso ti lascia. E loro devono averlo capito. Quel qualcosa ti lascia a fare i conti con quello che hai visto. Che è lì. Scolpito nella tua mente. Prima che stampato su un rettangolo di carta. Qualcuno va avanti. Qualcun’altro invece non ce la fa. Tre di loro non hanno sopportato tanto orrore. Ci hanno lasciato la loro storia. La loro testimonianza.

E il semisconosciuto cantautore che ci ha accompagnato a conoscere Kevin, Greg, Ken e João? Lui, ironia della sorte, non sapeva nulla del successo dei suoi pezzi. Delle sue storie. Nemmeno sapeva dove fosse il Sud Africa. Ha continuato tutta la vita a fare l’operaio. Ha cresciuto le sue figlie. Ha dato loro un tetto. Dei vestiti. Un’istruzione. Una vita serena. Finché un giorno il telefono squilla. Dall’altra parte della cornetta un attempato discografico del Sud Africa. Uno dei coraggiosi ragazzi che fece circolare in barba alla censura le sue canzoni. Cercava Sixto Rodriguez il cantautore. Trovò invece Sixto Rodriguez l’operaio metalmeccanico. Allora gli raccontò una storia. Di un semisconosciuto cantautore statunitense le cui storie infiammarono una generazione. E di quattro ragazzi che fermarono per sempre le fiamme di quell’inferno sulla pellicola…scottandosi un po’…

Vi lascio con quei pezzi… This Is Not a Song, It’s an Outburst– Or, The Establishment Blues, I Wonder, Crucify Your Mind…metteteli su mentre sfogliate le foto di Kevin, Greg, Ken e João.

Alla prossima…

P.S. ovviamente le foto non sono mie oggi...sono prese dal web, non me me vogliano i proprietari, le eliminerò immediatamente dietro apposita segnalazione se dovessero urtare la sensibilità di qualcuno.



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